Qui di seguito la terza ed ultima parte della ricerca effettuata da Lorenzo Mercurio sulla fruizione simbolica del Triskelés nella Sicilia antica.
La ricerca, condotta tra il 2009 e il 2012, è opera esclusiva dell’autore.
Tutti i diritti sono riservati.
FRUIZIONE SIMBOLICA NELLA SICILIA ANTICA:
IL Triskelés
TERZA ED ULTIMA PARTE
CAPITOLO II
Componenti simboliche del triskelés siciliano
Entrando nello specifico del triskelés siciliano, è possibile seguire ulteriori tracce che possano essere collegate a quelle sin qui discusse.
Sul triskelés vi è una bibliografia di importante consistenza, soprattutto riguardo la sua comparsa su manufatti numismatici o su vasellame. Claudia Perassi(57) parla del simbolo come di un’immagine «costituita da tre gambe piegate nella stessa direzione, disposte su un piano orizzontale in moto circolare. Nel fulcro che le riunisce può trovare collocazione una testa di donna o un gorgoneion. Originario simbolo orientale del movimento apparente del sole, fu collegato alla Sicilia sulla base della conformazione triangolare dell’Isola»(58). Interessante risulta la datazione alla quale risalirebbe, secondo la studiosa, la prima apparizione numismatica del triskelés: «la [sua] comparsa […] sulla monetazione siciliana si data al 317 [a.C.]»(59), durante il periodo di Agatocle di Siracusa, nonostante sembri che le prime raffigurazioni del simbolo in territorio siciliano risalgano addirittura al VII secolo a.C., su vasi di produzione locale gelese con influenze di produzione rodio-minoica, la cui cultura potrebbe aver importato nell’Isola il culto per il dio solare Helios(60) (fig. 7). Altri studiosi, come R.J.A. Wilson, parlano di cotti ritrovati nei pressi di Palma di Montechiaro (AG), risalenti anch’essi al VII secolo a.C., la cui produzione sarebbe prettamente autoctona: questi esempi costituiscono, secondo Wilson, i primi al mondo in assoluto a presentare un triskelés, tramite il quale vi sarebbe stata già allora l’intenzione di simboleggiare l’isola siciliana(61). Lo stesso nome della Sicilia, derivante dalla Sikelia ellenica, appare già etimologicamente adiacente al termine greco che indica ‘gamba’: il nome Sikelos evidenzia infatti una vicinanza semantica con skelos e skelos, con cui si designa proprio la gamba, la coscia o il ginocchio piegato(62), che nell’immagine del triskelés figura ben tre volte.
Sul triskelés vi è una bibliografia di importante consistenza, soprattutto riguardo la sua comparsa su manufatti numismatici o su vasellame. Claudia Perassi(57) parla del simbolo come di un’immagine «costituita da tre gambe piegate nella stessa direzione, disposte su un piano orizzontale in moto circolare. Nel fulcro che le riunisce può trovare collocazione una testa di donna o un gorgoneion. Originario simbolo orientale del movimento apparente del sole, fu collegato alla Sicilia sulla base della conformazione triangolare dell’Isola»(58). Interessante risulta la datazione alla quale risalirebbe, secondo la studiosa, la prima apparizione numismatica del triskelés: «la [sua] comparsa […] sulla monetazione siciliana si data al 317 [a.C.]»(59), durante il periodo di Agatocle di Siracusa, nonostante sembri che le prime raffigurazioni del simbolo in territorio siciliano risalgano addirittura al VII secolo a.C., su vasi di produzione locale gelese con influenze di produzione rodio-minoica, la cui cultura potrebbe aver importato nell’Isola il culto per il dio solare Helios(60) (fig. 7). Altri studiosi, come R.J.A. Wilson, parlano di cotti ritrovati nei pressi di Palma di Montechiaro (AG), risalenti anch’essi al VII secolo a.C., la cui produzione sarebbe prettamente autoctona: questi esempi costituiscono, secondo Wilson, i primi al mondo in assoluto a presentare un triskelés, tramite il quale vi sarebbe stata già allora l’intenzione di simboleggiare l’isola siciliana(61). Lo stesso nome della Sicilia, derivante dalla Sikelia ellenica, appare già etimologicamente adiacente al termine greco che indica ‘gamba’: il nome Sikelos evidenzia infatti una vicinanza semantica con skelos e skelos, con cui si designa proprio la gamba, la coscia o il ginocchio piegato(62), che nell’immagine del triskelés figura ben tre volte.
Fig. 7 |
Bent Parodi, intellettuale, scrittore e massone scomparso nel 2009, spinge ancor più indietro nel tempo la prima apparizione in Sicilia del triskelés, il quale sarebbe stato ritrovato «nei sacelli templari di Demetra, a Gela e a Castellazzo, [risalenti all’] ottavo secolo avanti Cristo»(63), lì dove «si celebravano i misteri di Demetra e Kóre, che l’orgoglio isolano affermava più antichi di quelli attici (il mito siciliano raccontato da Diodoro – V Libro della Biblioteca – è omologo a quello eleusino). Sappiamo dallo storico di Agira che la Grande Madre ennese ricreava la spiga, e con essa la realtà vivente, tramite il ‘ghelós’, il riso creativo rievocato ritualmente dalle assemblee contadine (‘panegyris’)»(64). Tra questi ultimi indizi compare anche un altro importante elemento da collegare al simbolo triscelico: la spiga di grano intesa come rigenerazione vitale. E alle spighe di grano è legata particolarmente proprio un tipo di triskelés, come quello che inizia però a comparire iconograficamente solo diversi secoli dopo in Sicilia, in seguito all’inizio dell’esperienza provinciale romana (fig. 8). Vi è però anche una relazione con Demetra e Kóre-Persefone, il cui mito «è sempre stato oggetto di numerose e varie interpretazioni: oltre gli eventi attraverso cui il racconto si snoda, si celano complesse e molteplici chiavi di lettura che rimandano, di volta in volta, ad aree sempre più nascoste ma determinanti per la risoluzione e la comprensione del racconto mitico»(65).
Fig. 8 |
Certo è che nella vicenda delle due dee si trovano spunti di riflessione collegati al tema della rigenerazione stagionale e, dunque, alla vita non solo intesa in senso astratto ma del vivere quotidiano, dell’economia e del consumo domestici di prodotti ricavati dai frutti della terra, alla cui base si trova indubbiamente l’elemento del pane.
Di contro, proprio per la sua funzione fondamentale nell’alimentazione mediterranea, «il pane non solo materialmente è elemento costitutivo della mensa contadina»(66), ma addirittura «non può esservi un “mangiare” senza pane. I gesti che precedono e accompagnano il suo consumo sono ritualizzati e pregni di significati che trascendono il puro atto della nutrizione»(67), acquisendo così un ruolo simbolico importantissimo. Un collegamento semantico tra il concetto di rigenerazione, il triskelés e l’isola siciliana potrebbe apparire quindi plausibile già a partire dall’VIII-VII secolo a.C., e potrebbe partire proprio dalla Sicilia la produzione simbolica inerente al triscele, poi ampiamente diffusasi in tutto l’ambito mediterraneo e oltre. Plausibile prova di ciò sembra essere il fatto che tale tipologia di simbolo inizi a comparire nella monetazione ateniese solo dal VI secolo a.C., per poi diffondersi altrove ancor più tardi(68). Tracce di tripodi del tutto simili ad altre forme di triskelés già allora ampiamente diffuse si trovano in nord-Africa, su steli puniche del III sec. a.C. – II-III sec. d.C., erette in onore del dio Baal/Saturno e della consorte Tanit/Caelestis(69).
Il primo Bollettino Archeologico Italiano del 1862 riporta invece che «la triquetra, o triscele, può tutt’insieme tenersi per simbolo d’origine asiatica, relativo alle tre dee che a vicenda regnano soppresso la Luna, e de’ tre promontorii della Trinacria altresì; poiché nelle monete di A. Allieno, proconsole della Sicilia nel [I sec. a.C.], veggiamo l’eroe Trinacro, figliuolo di Nettuno, tenere nella d. lo stesso simbolo della triquetra (fig. 1). Altri ravvisar potrebbe nel triscele un simbolo delle Eumenidi che inseguono gli empi per divina vendetta»(70). Ulteriori elementi di indagine si ricavano da spunti bibliografici come il precedente, in cui appaiono il nome di Trinacro e le Eumenidi, oltre che la Luna.
Il primo Bollettino Archeologico Italiano del 1862 riporta invece che «la triquetra, o triscele, può tutt’insieme tenersi per simbolo d’origine asiatica, relativo alle tre dee che a vicenda regnano soppresso la Luna, e de’ tre promontorii della Trinacria altresì; poiché nelle monete di A. Allieno, proconsole della Sicilia nel [I sec. a.C.], veggiamo l’eroe Trinacro, figliuolo di Nettuno, tenere nella d. lo stesso simbolo della triquetra (fig. 1). Altri ravvisar potrebbe nel triscele un simbolo delle Eumenidi che inseguono gli empi per divina vendetta»(70). Ulteriori elementi di indagine si ricavano da spunti bibliografici come il precedente, in cui appaiono il nome di Trinacro e le Eumenidi, oltre che la Luna.
Vi è però da precisare che le Eumenidi cui si riferisce il brano citato, devono essere con tutta probabilità intese come ‘Erinni’, i mostri femminili di orestea memoria, tramutati in Eumenidi solo in seguito all’assoluzione di Oreste dall’omicidio della madre Clitemnestra, a sua volta rea dell’omicidio del marito Agamennone e di adulterio, che prima di morire invocò proprio le Erinni, le cagne vendicatrici, che avrebbero perseguitato il figlio Oreste per tormentarlo e punirlo per l’avvenuto matricidio.
Tra le Erinni e le Gorgoni, e quindi anche con la figura di Medusa e il Gorgóneion, sembra esistere un collegamento semantico in quanto proprio il Gorgóneion, elemento apotropaico adoperato con scopo protettivo dalle entità malefiche(71), è anche adoperato «quale simbolo dell’ambito funerario, probabilmente in funzione del collegamento con le divinità […] assimilate alle Erinni e alle Gorgoni, in una sfera comune di quei mostri infernali che [caratterizzano] le credenze popolari ricordate parodisticamente da Aristofane»(72), la cui dimora, «come attestano Aristotele e altre fonti, può essere considerata prossima all’ingresso dell’Ade»(73), del regno dei morti. Trinacro, figlio di Nettuno raffigurato solo nella monetazione romana locale, viene invece indicato da Filostefano – allievo di Callimaco(74) – come l’eroe mitico creatore e popolatore della Sicilia(75), per questo associata, con il nome di Trinacria – ovvero Terra di Trinacro(76) – all’eroe eponimo. Egli viene raffigurato sui conî numismatici della seconda metà del I secolo a.C., periodo consolare di Aulo Allieno, mentre «ostenta in mano la triquetra o triscelo, simbolo dell’isola [di Sicilia] ed in riposo per segno di padronanza» (fig. 9) (77). L’associazione tra Trinacro e l’isola siciliana, dunque, farebbe escludere che vi sia un legame semantico tra la parola trinacria – termine di origine greca che letteralmente significa dai tre promontori, da cui a sua volta potrebbe derivare proprio il nome del mitico eroe – e il triskelés, nonostante quest’ultimo sia comunemente chiamato proprio trinacria come se fosse un suo sinonimo.
Fig. 9 |
Più articolato è il discorso che può essere fatto riguardo alla Luna, nelle sue tre fasi visibili (crescente, piena, decrescente), la quale svolge un altro importante ruolo per la decodificazione del linguaggio significante del triskelés, a sua volta ancora strettamente legato alla figura di Medusa e al Gorgóneion. Iniziamo con il dire che nel simbolo a tre gambe dei simboli regionali siciliani odierni appare una testa di donna al loro punto di unione. Nonostante tale nuovo disegno istituzionale abbia perso alcune connotazioni grafiche, capaci di evidenziare più chiaramente l’identità di tale volto femminile, si riescono comunque a distinguere sotto la testa due serpi che, scendendo dalla testa, si intrecciano tra loro attorno alla spiga di grano che si trova proprio tra le due gambe in basso nel simbolo. Nei simboli storici che riguardano il triscele siciliano nei secoli, e più precisamente dall’epoca romana in poi, è invece più facilmente riconoscibile il volto di un essere certamente femminile ma dai tratti mascolini, se non addirittura ferini o mostruosi. Notoriamente, gli esseri mitologici mostruosi che al posto dei capelli recano un nido di serpi sono proprio le tre Gorgoni, ma ad una sola di esse è stata staccata la testa dal corpo, ossia a Medusa, l’unica mortale.
Ella è «figlia, come le altre Gòrgoni, dei germani Forcio e Ceto, figli a loro volta dei fratelli Ponto e Rea, [affondando] direttamente le sue radici nella stirpe dei Titani. Giovane e bella, la sua metamorfosi in “orrido verde”, come la definisce Omero, si compie per vendetta di Athena, indignata per averla sorpresa stretta in amplesso con Poseidone in uno dei propri templi. La sua ascendenza e il connubio con Poseidone la legano in diverso modo agli abissi marini, alla lontananza dal mondo umano, alla mostruosità aggressiva»(78). Inoltre, «il suo nome – la “sovrana”, “colei che comanda” – è appellativo della luna, e “testa di Medusa” era detta dai Greci la luna»(79). È Perseo, emblema della mascolinità e, tout court, dell’umanità apportatrice di cosmos, ad avere il compito di sconfiggere la massima alterità e bestialità femminile di Medusa, la quale viene da lui decapitata «non con una spada qualsiasi, ma con una a forma di falcetto (fig. 10) […].
Dal corpo decapitato fuoriescono Crisaore (divinità lunare, è la falce di luna al primo quarto, e per questo è armato di spada) e Pegaso (il cavallo alato di Bellerofonte, che sul monte Elicona fa sgorgare una sorgente raspando il terreno con il suo zoccolo “lunato”)»(80).
Secondo un’analisi di Jean-Pierre Vernant riportata da Italo Signorini, «dalla maschera di Medusa, rappresentazione cruda e brutale del sesso […] ci si può spingere […] alle potenze spaventose il cui simulacro è la sola orribile testa. Sono le ‘praxìdikai’. Prassidice è divinità infera […]»(81). Ma «interessante e pieno di suggestioni è […] il legame […] che ci porta a una serie di connessioni da capogiro: sorgenti, luna, falce di luna, zoccolo di Pegaso, Bellerofonte, Chimera, di nuovo luna (di cui Chimera è il simbolo calendariale), da questa a Echidna, ai mostri della discendenza dei Titani e alla potenza del caos in cui si collocano, infine, ancora a Medusa che a quella negazione dell’umano appartiene»(82), a sua volta legata inevitabilmente a tutta una serie di altre figure mostruose, prettamente femminili, che sono proprie della mitologia greca e romana, di cui parlano Diodoro, Aristofane, Antonio Liberale, Luciano ed altri(83): si tratta di Lamia, di Akkò, Alphitò, Efialte, Gellò (tutte insidiatrici della vita degli infanti), della Sfinge, di Empusa ed Ecate (assetate di sangue di giovani uomini con i quali prima si stringono in amplesso) (84), ma anche delle già citate Erinni, entità la cui alterità ed estraneità alla cultura è massima. Lo stesso Luciano «mette insieme i racconti sulla Chimera, le Gòrgoni e i Ciclopi con gli ‘allókota kaì terastia mythidia’(85) di Mormò e di Lamia»(86).
In particolar modo, proprio Ecate è particolarmente legata alla lunarità, soprattutto, secondo il latino Servio, a quella calante, mentre Lucina e Diana rappresenterebbero rispettivamente la luna crescente e quella piena(87).
Fig. 10 |
Tutto ciò conduce a sua volta verso delle considerazioni inerenti al triskelés: esso è di per sé evidentemente legato anche alla luna e alle sue fasi. Soprattutto Medusa, appartenente ad una fitta schiera di mostruosi personaggi femminili legati all’alterità, è indissolubilmente correlata alla luna e per i Greci la sua testa viene con essa talvolta identificata. Ma tale alterità è a sua volta correlata ad un uso-abuso della sessualità: la bestialità di Medusa e delle sue simili, nate come splendide fanciulle, è in ultimo la risultante di una disordinata attività sessuale. Sessualità, fertilità e riproduzione tornano a loro volta ad avere a che fare con la ‘ciclicità’ vitale del triskelés, ma rimane ancora da specificare meglio in che modo vi sia una relazione tra la ‘luna’ e tale ‘ciclicità rigenerativa’. Come nota Signorini, árpe è una parola greca ambivalente che indica sia il falcetto che il nibbio, ossia il falchetto, e una congiunzione lessicale e semantica è evidente anche nella forma delle due parole in italiano(88); il ‘falchetto’ è una metafora sessuale: è quell’uccello carnivoro le cui prede preferite sono la ‘passera’ e la ‘tortora’, che nel linguaggio popolare diventano a loro volta appellativi per l’organo sessuale femminile(89). Amuleti dal simbolismo fallico hanno avuto ed hanno ancora ai nostri giorni una grandissima diffusione, come il corno e l’aglio (i cui spicchi ricordano il quarto lunare), ma anche la falce, la quale ha «un effetto paralizzante sulle streghe»(90), ossia su esseri che allo stesso modo vedono negata la propria femminilità e che sono resi pericolosi dalla loro distanza rispetto all’ordine umano. La spada di Perseo, con la quale l’eroe taglia la testa a Medusa, è a forma di árpe, di falcetto, di quarto di luna; si aggiunge, per dar forza al discorso, che esistono versioni di triskelés rappresentato «con le gambe talora sostituite da falci lunari»(91) e che un tipo di evoluzione a ‘tre gambe’, appartenente alla simbologia siceliota, riporta sui rispettivi talloni delle ali simili a quelle dei sandali magici indossati da Perseo nella spedizione contro Medusa.
Il legame semantico tra la Luna e il ciclo rigenerativo, dunque, appare ancor più chiaro, se è vero che la testa di Medusa è emblema della ferinità sessuale femminile che relega il mostro nella totale alterità caotica, di contro al quarto di luna, simbolo fallico-maschile-civilizzatore e apportatore di cosmos, ma anche di fertilità per eccellenza.
Dunque il triskelés siciliano, nel quale si presentano contemporaneamente entrambi i semi di caos e cosmos, potrebbe essere interpretato anche come un simbolo d’equilibrio, di ordine tout court, di dominio della cultura sulla natura. Presente sul triskelés regionale siciliano istituzionale, all’altezza delle orecchie della testa di Medusa, si trova un paio di ali di uccello. Esse si trovano anche in numerose altre versioni archeologicamente attestate, oltre che in diversi medaglioni marmorei ottocenteschi che addobbano monumenti palermitani d’epoca rivoluzionaria. Non è dato sapere quando esse abbiano preso a far parte del simbolo o se esse rappresentino le stesse ali d’oro di Medusa – le quali appaiono nell’iconografia decorativa dei cotti attici del V-IV-III secolo a.C.(92), come nelle descrizioni di autori come Apollodoro(93) –, ma sembra che la loro presenza sia intesa come un rafforzamento del concetto di tempo, evidenziando la fugacità di un ciclo che, ripetendosi anno dopo anno, si reca linearmente verso l’eternità(94), venendo così a rafforzare il tema rigenerativo del triskelés.
Le spighe di grano, come già accennato e come testimoniano soprattutto ritrovamenti numismatici avvenuti da Siracusa a Palermo, iniziano a comparire stabilmente con i Romani(95): si deduce, quindi, che la loro aggiunta nell’insieme simbolico triscelico siciliano possa essere almeno in parte legata al ruolo che la Sicilia inizia ad avere come «riserva prossima e sicura di rifornimenti pubblici e privati in cereali»(96), nonostante la simbologia della spiga riguardi da vicino il tema della rigenerazione temporale, e ben da prima del periodo romano.
Riassumendo, in definitiva non sembra possibile stabilire con totale certezza il periodo in cui il triskelés diventi l’immagine stessa della forma geografica triangolare della Sicilia. Autori come R.J.A. Wilson affermano che già nel VII sec. a.C. vi fosse l’intenzione di rappresentare il triskelés come stilizzazione tripodica dell’isola siciliana. Certo è che appare un collegamento etimologico – e dunque semantico – diretto tra il concetto di ‘isola a tre punte’ (Trinacria) e le tre gambe piegate al ginocchio almeno dall’epoca magnogreca. Fortemente avvertita e collegata all’isola siciliana, alla sua fertilità e a sua volta ancora con il tema della rigenerazione è secondo alcuni anche la simbologia pre-greca che potrebbe far capo al culto della Dea Madre. Il triskelés, sebbene in forme leggermente differenti, è però diffuso praticamente in tutto l’ambito mediterraneo, soprattutto nella monetazione, a partire dal VI secolo a.C., con primi esempi del posizionamento della testa di Medusa al centro del movimento rotatorio ‘a tre’ in fregi di scudi dello stesso secolo di produzione del Peloponneso o ionia(97). Allo stesso modo, numerose sono le testimonianze iconografiche, soprattutto proprio su monete, che legano il periodo magnogreco siciliano al solo mostro mitologico della Gorgone o al suo Gorgóneion, separatamente dall’evoluzione a tre ‘gambe’ (fig. 11). Ma simili conî, la cui appartenenza temporale va da un periodo che abbraccia il V-IV secolo a.C. fino a molti secoli d.C., sono stati ritrovati in un’area geografica anch’essa molto vasta, che va dalla Sicilia al Mar Nero, dall’Etruria alla Palestina(98), analogamente a quelli inerenti alle plurime versioni formali del simbolo triscelico. Con questo si vuole sottolineare che se è vero, come sostengono alcuni studiosi, che non esistono attestazioni che indichino produzioni simboliche precedenti a quelle ritrovate sui cotti siciliani di Palma di Montechiaro, di Castellazzo o di Gela, allora risulta molto probabile che, qualunque fosse la loro origine etnica e le influenze acculturative, gli abitanti siciliani dell’VIII-VII sec. a.C. debbano essere indicati come gli ideatori di una tipologia simbolica straordinariamente funzionante, che a sua volta ha sicuramente attinto da archetipi simbolici allora, e anche successivamente, altrettanto vitali e fruiti, tanto da essere esportati, usati, risemantizzati e rifunzionalizzati in numerose varianti dai loro rispettivi consumatori.
Riassumendo, in definitiva non sembra possibile stabilire con totale certezza il periodo in cui il triskelés diventi l’immagine stessa della forma geografica triangolare della Sicilia. Autori come R.J.A. Wilson affermano che già nel VII sec. a.C. vi fosse l’intenzione di rappresentare il triskelés come stilizzazione tripodica dell’isola siciliana. Certo è che appare un collegamento etimologico – e dunque semantico – diretto tra il concetto di ‘isola a tre punte’ (Trinacria) e le tre gambe piegate al ginocchio almeno dall’epoca magnogreca. Fortemente avvertita e collegata all’isola siciliana, alla sua fertilità e a sua volta ancora con il tema della rigenerazione è secondo alcuni anche la simbologia pre-greca che potrebbe far capo al culto della Dea Madre. Il triskelés, sebbene in forme leggermente differenti, è però diffuso praticamente in tutto l’ambito mediterraneo, soprattutto nella monetazione, a partire dal VI secolo a.C., con primi esempi del posizionamento della testa di Medusa al centro del movimento rotatorio ‘a tre’ in fregi di scudi dello stesso secolo di produzione del Peloponneso o ionia(97). Allo stesso modo, numerose sono le testimonianze iconografiche, soprattutto proprio su monete, che legano il periodo magnogreco siciliano al solo mostro mitologico della Gorgone o al suo Gorgóneion, separatamente dall’evoluzione a tre ‘gambe’ (fig. 11). Ma simili conî, la cui appartenenza temporale va da un periodo che abbraccia il V-IV secolo a.C. fino a molti secoli d.C., sono stati ritrovati in un’area geografica anch’essa molto vasta, che va dalla Sicilia al Mar Nero, dall’Etruria alla Palestina(98), analogamente a quelli inerenti alle plurime versioni formali del simbolo triscelico. Con questo si vuole sottolineare che se è vero, come sostengono alcuni studiosi, che non esistono attestazioni che indichino produzioni simboliche precedenti a quelle ritrovate sui cotti siciliani di Palma di Montechiaro, di Castellazzo o di Gela, allora risulta molto probabile che, qualunque fosse la loro origine etnica e le influenze acculturative, gli abitanti siciliani dell’VIII-VII sec. a.C. debbano essere indicati come gli ideatori di una tipologia simbolica straordinariamente funzionante, che a sua volta ha sicuramente attinto da archetipi simbolici allora, e anche successivamente, altrettanto vitali e fruiti, tanto da essere esportati, usati, risemantizzati e rifunzionalizzati in numerose varianti dai loro rispettivi consumatori.