Di accordi vergognosi con lo stato italiano ne sono stati fatti così tanti dai vari governi regionali passati, che ormai si è perso il conto. Accordi che rendono la Sicilia sempre più colonia, che la tengono sempre più lontana da quella tanto agognata emancipazione politica, sociale ed economica che di fatto la renderebbe libera.
L’ultimo di essi, stipulato in questo mese tra il governo regionale Musumeci e quello nazionale di Conte (presentato addirittura come il salvatore della Sicilia), non fa che confermare l’andazzo in uso ormai da anni.
Senza andarci ad impelagare troppo in particolari di natura economica, spieghiamo brevemente in cosa consiste questo accordo: la regione si impegna a fare un taglio delle spese di 1,74 miliardi per ridurre il disavanzo e lo stato italiano fa “il favore” di spalmare il debito in 10 anni. Taglio delle spese che, tradotto, vorrà dire politiche di austerity che freneranno la già debole economica isolana (devastata dalla crisi sanitaria).
Il disavanzo di cui si parla, che ammonta a 7 miliardi, (cui non corrisponde alcun debito) è il frutto di accordi nefasti passati, come quello operato da Crocetta e Renzi, che di fatto ha ridotto il diritto di riscossione di tributi sul territorio isolano del governo regionale, riducendo i decimi di IRPEF e IVA spettanti di diritto alla Regione Siciliana. Sono stati cancellati tutti i ricorsi operati contro lo stato italiano in materia di finanza pubblica, effettuati prima del 31 Dicembre 2015 e cancellati ben 5 miliardi di residui attivi (somme accertate dalla parificazione della Corte dei Conti e mai incassate) che l’Italia doveva alla Sicilia, ma che furono dichiarati inesigibili. La cancellazione di questi 5 miliardi ha significato un aumento proprio del disavanzo. Lo stato permette quindi la chiusura del bilancio alla regione siciliana, chiedendo in cambio un’ulteriore riduzione della sua autonomia e di tagliare la spesa pubblica.
Vero è che il Presidente Musumeci si è trovato di fronte una bruttissima gatta da pelare, ma noi ci chiediamo, forse un po’ ingenuamente: perché non rivendicare a chiare lettere l’applicazione integrale dello Statuto d’Autonomia, legge costituzionale e garanzia di stabilità economica? Si sarebbe mai arrivato a questo, se fosse stato applicato da sempre il diritto del governo regionale siciliano di riscuotere i tributi nel proprio territorio? Ovviamente no. E la chiave di comprensione di tutto sta lì. Mentre lo stato italiano fa i suoi interessi, la classe politica siciliana continuare a rimanere totalmente collusa con chi vuole l’isola sull’orlo del burrone.
In Sicilia i governi regionali che si avvicendano, qualunque essi siano, vivono la loro legislatura alla ricerca dell’espediente migliore che li faccia uscire, a detta loro, con la coscienza un po’ più pulita, elemosinando qualche favore a Roma.
Si ripete così quel giochetto che stringe sempre di più le catene del colonialismo, tutto a sfavore dei siciliani.
Fatti e misfatti che hanno sempre contraddistinto la politicanza siciliana ormai da settant’anni, contribuendo a fare dello Statuto d’Autonomia carta straccia.
Ecco perché oggi l’unica via percorribile è quella dell’indipendenza; non idea astratta, ma oggi più che mai soluzione concreta per una reale emancipazione siciliana.
Emanciparsi per non soccombere. LA SICILIA AI SICILIANI!
Figli di Sicilia
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