“Ma nel Gennaio del 1893 avveniva qualcosa che doveva avere notevole influenza nello sviluppo della organizzazione dei Fasci nelle campagne. L’eccidio dei contadini di Caltavuturo, i quali rivendicavano antichi diritti di ripartizione sulle terre comunale usurpate, che provocava l’intervento e l’interessamento a favore delle vittime, del Fascio dei Lavoratori di Palermo e delle società operaie e del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani”. Questo estratto preso dal libro di Salvatore Francesco Romano, “Storia dei Fasci Siciliani”, ci spiega l’importanza dell’eccidio di Caltavuturo nello sviluppo dei Fasci nelle campagne. I contadini, infatti, stanchi dei continui soprusi perpetrati dall’amministrazione comunale in combutta con i proprietari terrieri, decisero di far sentire la propria voce.
I lavoratori delle campagne non accettavano la mancata ripartizione di quelle terre incolte che, tramite sotterfugi, venivano controllate abusivamente da borghesi e gabellotti. La società operaia presente nel paese, formata pochi anni prima da Bernardo Comella e Giambattista Vivirito, decise di occupare quelle terre il 20 Gennaio del 1893. Quella mattina circa 500 contadini si diressero verso le terre comunale per dare inizio alla protesta; poco dopo, però, la folla decise di tornare per chiedere un incontro con il sindaco il quale pensò bene di non farsi vedere. Decisi a non mollare, i contadini si ritiravano per andare ad occupare le terre del feudo di San Giovannello ma ad un tratto, senza alcun preavviso, una scarica di fucili si abbatté su quei poveri lavoratori, uccidendone 13 (8 dei quali restarono sul terreno fino al pomeriggio del 21 Gennaio) e ferendone 40.
La strage creò grande sdegno non solo nell’isola, ma in tutta la nazione. Il Fascio urbano di Palermo decise di far partire una sottoscrizione per le vittime che in poco tempo superò i confini isolani. A tal proposito, riprendiamo nuovamente il testo di Romano che ci permette di comprendere l’enorme importanza che tale fatto ebbe nella storia del movimento: “Se nelle elezioni alcuni dopo Bernardo Comella e Vivirito saranno eletti consiglieri comunali, ciò avverrà non solo per l’eco di indignazione che si levò contro l’eccidio nel paese, ma anche e soprattutto per l’azione di assistenza, di intervento e di guida del Fascio di Palermo e dell’appoggio che i Fasci Siciliani ricevettero dagli operai italiani e dal Partito Socialista, sul piano nazionale”. La città e la campagna trovarono così quell’unione tanto temuta dalla classe padronale e fortemente auspicata dal socialismo siciliano. Nei diversi paesi dell’isola il ceto popolare, galvanizzato dalle idee socialiste, creò Fasci nei diversi comuni siciliani.
La strage di Caltavuturo, dunque, diede al movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori la spinta necessaria alla sua crescita e diffusione. Undici lavoratori siciliani morirono per dimostrare alla Sicilia, all’Italia e all’Europa che il tempo della sottomissione era finito. I lavoratori avevano alzato la testa.
“SE DIVISI SIAMO CANAGLIE, STRETTI IN FASCIO SIAM POTENTI!”
Questo motto, il motto dei Fasci Siciliani, oggi più che mai dovrebbe riecheggiare in tutta l’isola, per giungere a quella tanto agognata emancipazione identitaria della classe lavoratrice isolana.
Figli di Sicilia
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